
Acqua minerale, cosa c'è davvero dentro: parlano gli esperti - Fluon.it
Cosa contiene davvero l’acqua minerale che compriamo nei supermercati? Parlano gli esperti: cosa c’è da sapere.
Un recente studio condotto dalla Concordia University di Montreal ha riportato alla luce dati inquietanti sulla presenza di microplastiche nelle acque minerali.
Questi frammenti di plastica, invisibili a occhio nudo ma potenzialmente dannosi, si trovano ormai ovunque, e la loro presenza nelle bottiglie d’acqua rappresenta una delle principali vie di esposizione umana. I risultati della ricerca, pubblicati sul Journal of Hazardous Materials, offrono un quadro aggiornato e dettagliato della situazione, richiamando l’attenzione di medici e consumatori.
Le microplastiche nelle bottiglie d’acqua: una contaminazione sottovalutata
Le microplastiche sono particelle di plastica con dimensioni che variano da un micrometro fino a cinque millimetri. Questi frammenti derivano dalla degradazione di materiali plastici per effetto di stress meccanico, agenti atmosferici e processi chimico-fisici. La loro diffusione è ormai ubiquitaria: si trovano nell’ambiente, negli alimenti e persino nel corpo umano, attraverso la respirazione e il contatto cutaneo. Nonostante gli sforzi globali per limitare l’uso di sacchetti monouso e migliorare il riciclo, l’attenzione verso le bottiglie di plastica rimane insufficiente. Il consumo di acqua in bottiglia è ancora molto diffuso, e questo comporta un’esposizione significativa alle microplastiche.
La ricerca canadese ha analizzato oltre 140 studi scientifici focalizzati esclusivamente sulle bottiglie d’acqua e ha stimato che una persona che beve esclusivamente acqua in bottiglia ingerisce, in media, circa 90.000 microplastiche in più all’anno rispetto a chi consuma acqua del rubinetto. L’analisi ha evidenziato una forte variabilità nella concentrazione di microplastiche tra i vari marchi di acqua minerale. Nel confronto tra 11 marchi famosi, Nestlé Pure Life emerge come il più contaminato, con oltre 10.000 particelle per litro, mentre la San Pellegrino – anch’essa di proprietà Nestlé – si posiziona come la meno contaminata, con circa 1.000 microplastiche per litro.
Anche marchi appartenenti a colossi come Danone, PepsiCo e Coca-Cola mostrano livelli differenti di contaminazione. Questa ampia variabilità fa emergere una necessità urgente: stabilire limiti di sicurezza per la presenza di microplastiche nelle bottiglie, oltre a regolamentare i tipi di polimeri utilizzati nella fabbricazione. In particolare, per le bottiglie contenenti plastica riciclata, obbligatorie in Europa almeno al 25% dal gennaio 2025, bisogna definire standard che garantiscano la sicurezza del consumatore, evitando materiali che si degradano facilmente rilasciando microplastiche.

Gli studi raccolti nel lavoro della Concordia University confermano che le microplastiche possono avere effetti dannosi su diversi sistemi dell’organismo umano. Tra i principali rischi identificati vi sono danni al sistema nervoso, respiratorio e riproduttivo, alterazioni del microbiota intestinale e stati di infiammazione cronica. Inoltre, l’esposizione può aumentare il rischio oncologico e compromettere la risposta immunitaria. Un aspetto rilevante è la dimensione delle microplastiche e la loro capacità di penetrare nei tessuti. Particelle fino a 7,5 micron possono entrare nei globuli rossi, quelle fino a 100 micron raggiungono la vena porta, mentre particelle più grandi si accumulano nei linfonodi o addirittura nei capelli.
Questo evidenzia come non si possa generalizzare sugli effetti sulla salute, ma sia necessario uno studio dettagliato in base al diametro e alla composizione delle particelle. Il problema delle microplastiche non riguarda solo la salute umana, ma anche la politica e l’ambiente. Nonostante i primi tentativi di regolamentazione risalgano agli anni Sessanta, il cammino verso un accordo internazionale è stato lento e spesso ostacolato. Dopo la pandemia, si è registrato un netto rallentamento nelle iniziative globali contro la plastica, con un ritorno indietro di almeno dieci anni nelle collaborazioni e nelle campagne di sensibilizzazione.