Punti di Vista

dal catalogo

02/06/2013

testo by Alessandra Troncana

 

The gift of sound and vision

E ci coloreranno come Marylin Monroe nei dipinti stile pop art di Andy Warhol

Bruno Munari

Nell’evanescente panorama artistico postmoderno, gremito di esperimenti velleitari ed epidermici, di vacue e pedestri provocazioni concepite da gretti demagoghi in preda a deliri capitalistici, Andy incarna il prototipo del visionario che, in bilico tra l’eterno e il transeunte, l’apollineo e il dionisiaco, si diletta a sublimare labili chimere.

La propria indagine trae linfa e incitamento dalla convulsa e pervicace contaminazione tra i diversi lessici creativi – pittura, musica, teatro, con frequenti incursioni nella pubblicità e nel cinema…-.

La tecnica dell’Accademia è posta al servizio di un estro fluttuante, eclettico, adamantino, avulso a vacui vincoli concettualistici e pervaso da un’indomita curiosità.

Citazionistiche e caleidoscopiche, le sue opere si estendono su superfici eterogenee secondo un principio di osmosi materica.

Il fluorescente intride impetuosamente tavole, manichini-automi, suppellettili, tessuti, sino ad insinuarsi nell’inconscio dello spettatore, travolto da una fruizione immersiva, elettrizzante, totale.

Le immagini del sogno, metafisiche reminiscenze di un passato mai sopito, si amalgamano a un contingente inebetente, ebbro di crassi feticci.

L’esito è una visione allucinatoria, psichedelica, vagamente isterica, un rituale edonistico in cui convergono i fantasmi di Haring e Warhol, Ernst e Munari. Andy è un guitto, un saltimbanco che avanza sicuro su un filo d’acciaio sospeso sopra una voragine.

Gioca con le icone postomderne, le rievoca con nostalgia, talvolta le irride, le amalgama con gli emblemi atavici, sacri, effigiati dai Maestri del passato.

La demistificazione dell’immagine romantica, patrocinata dagli espressionisti, dell’artista-demiurgo, e l’esaltazione del consumismo, con il suo corollario di dispotica massificazione, lo rendono un interprete partecipe e assenziente dell’alienazione contemporanea.

Un Bowie o un Goldrake fluorescenti creano tensioni che cagionano inquietudine, suscitano attese, si elevano per poi ricadere nel vuoto.

E’ come un possente pulsare interiore contro le pareti che rinserrano l’anima. Con le loro tinte cangianti e iperboliche i lavori di Andy ci proiettano in un universo onirico, ludico, in cui si respirano gli effluvi della New York di Basquiat e Schnabel e si incede sulle note dei Kraftwerk, stringendo la mano di una Pollon sorniona.

Una carica sovvertitrice ci proclama clamorosamente l’annichilimento della natura per mano della macchina e dei relitti che l’uomo ha creato per sé e che sente capaci di imporsi alla sua volontà: nuovi impulsi, nuovi interessi, tutti materiali, nuovi modi di espressione, in una frenetica dilatazione dei mass media.

I visionari come Andy appartengono ad un ordine singolare, confuso, in cui si situano talenti diversi e ineguali, ma tutti dotati di una forza profetica che attinge all’umana fantasia.

La loro ottica inedita altera la luce, le proporzioni e persino la consistenza del mondo sensibile. Per questi artisti lo studio formale non è altro che un punto di partenza indispensabile per trasfigurare l’oggetto.

Giacché non si tratta di mera mimesis, bensì di una personale interpretazione, che conferisce alla sostanza una vivacità stupefacente.

Fra il sognatore allucinato e il sardonico sbeffeggiatore della vanitas collettiva, Andy si destreggia in un campo elastico in cui ogni forma errante può assumere un significato inatteso e recondito.

Oltre che cromatica, la sua visione è dinamica: moltiplica le possibilità di scambi e di penetrazione, fa muovere e sollecita l’intelletto.

Possiamo guardare alle sue icone come alle vestigia di un’infanzia che rammentiamo con affetto o, piuttosto, ai simboli del decadimento semantico e dello svilimento intellettuale provocati dal capitalismo, ogni lettura è lecita.

Ma non possiamo sottrarci a un contagio empatico e tremendamente pop.

 

Alessandra Troncana