Punti di Vista

Patchwork in salsa acida

01/04/2007

testo critico di Chiara Argenteri

Quella di Andy è una pittura a Lsd su tela. È il viaggio visionario e  senza paracadute in una realtà parallela che somiglia, ma non riproduce, quella conosciuta. Il giovane artista brianteo parte da elementi del paesaggio quotidiano – da oggetti dell’arredo urbano, da angoli frequentati di continuo e perfettamente conosciuti, da volti di amici e personaggi fin troppo noti, laccati e a volte indigesti, che arrivano in presa diretta dal mondo dello star system e da quello gommoso dei cartoons  – per approdare ben presto in un universo acido, deformato, psichedelico dove panorami e presenze hanno carattere allucinatorio, dove la vibrazione e la vertigine hanno preso il posto della tranquillità, dell’azione reiterante e della sicurezza. Come in un mondo ricreato e visto attraverso speciali occhiali 3D (in cui è un colore esploso e roboante a dare cubisticamente volume all’immagine) le tonalità dell’orizzonte risultano variate e aggressive, i contorni di visi e oggetti appaiono nervosi e sincopati, le prospettive dell’inquadratura si presentano incerte, sfuggenti e si attorcigliano, i colori esagerano. Surreale e onirico, il mondo di Andy sembra visto attraverso gli occhi di Cesare, il sonnambulo spiritato de Il gabinetto del dottor Caligari (vero manifesto cinematografico dell’espressionismo tedesco). Solo che, mentre nella storica pellicola di Robert Wiene l’esasperazione dei paesaggi, dei caratteri e delle atmosfere era affidata a un livido e contrastatissimo bianco e nero, nelle opere di Andy la follia visionaria e l’immaginazione onirica risultano costruite tramite l’esasperazione dei timbri cromatici. Dal rosso al verde dal fucsia all’arancio dal giallo al blu elettrico, ogni tonalità esplode tra le sue mani, diventa prepotente ed eccessiva, aggredisce lo spettatore cercando di primeggiare sulle altre. E così le composizioni finiscono per sembrare collage impazziti, mosaici mobili e frementi in cui, invece di fondersi e sposarsi, le parti e le campiture entrano in brulicante contrasto, cercando di primeggiare le une sulle altre. Niente è come sembra, le logiche appaiono sovvertite, la gravità è scomparsa e ogni cosa è portata alle estreme conseguenze. Un luogo parallelo che ricorda il mondo reale, che si presenta evidentemente imparentato con esso, ma che è possibile incontrare solo dopo aver varcato con buona dose di coraggio e pazzia la linea dello specchio. O solo dopo aver liberato la fantasia e dato libero sfogo ai sogni. Come lo spazzacamino Dick Van Dyke in Mary Poppins, che si tuffa nei disegni del madonnaro tracciati sul marciapiede e lì si mette a cantare il tormentone Supercalifragilistichespiralidoso, o come il detective privato Eddie Valiant in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, che sul suo taxi logorroico entra dritto sparato nella piazza di Cartoonia dove può permettersi di cadere dal novantesimo piano d’un grattacielo senza rimediare un solo graffio. Così Andy, anima percorre e vive luoghi, personaggi, panorami in cui tutto è concesso e ogni avvenimento appare plausibile: Pollon e Lamù dividono la tela con una super top model; una Porche è insieme a un pappagallo; un cartello stradale alla Venere di Milo. Andy ci conduce per mano nel bel mezzo di un orizzonte immaginario dove l’irrealtà si presenta come reale, dove le prospettive abituali seguono cammini opposti e diversi. Sulle tele paesaggi e figure si arrotolano su se stessi, diventano elastici, morbidi, gommosi. Sulle orme della televisione più attenta, alla Blob e alla Fuori orario, l’artista ruba alla leggenda e alla storia, sottrae ai ricordi e all’immaginario, prende dall’illustrazione e dalla realtà, e poi shakera il tutto in una visione psichedelica e fantasmagorica, spiazzante e inquieta. Comincia con una ricerca certosina sulle forme e le iconografie d’un soggetto, sui significati e gli atteggiamenti di un personaggio, sui caratteri e comportamenti d’una figura storica, mistica, leggendaria. Poi inizia a comporre, come fosse una musica. Come il campionamento in un suono è una frazione di realtà manipolata e messa in sequenza, così nei dipinti, Andy fotografa un istante, un flashback e lo ridispone in un’ottica surreale. Emozioni, esperienze e colori vivono in una dimensione al tempo stesso lucida e caotica. Dove personaggi apparentemente scollegati fra loro diventano simboli di concetti da esporre.  Un collage neopop (con un occhio a Warhol e l’altro a Haring), un enorme patchwork in salsa acida, una poetica fatta di frammenti, di storie cominciate e mai finite, di flash che arrivano in presa diretta dagli anni Ottanta e dal vissuto dell’artista trentacinquenne. Come una carta assorbente, la pittura di Andy cattura e pesca direttamente dal cassetto dei ricordi: un purissimo distillato di arte, musica e spettacolo. Ci sono tutti i cantanti della new wave e dell’avant pop, dai Joy Division ai Kraftwerk da Robert Smith ai Devo, e poi Nico, Sid Vicious, Jimi Hendrix, Annie Lennox, Madonna, i Kiss, Jim Morrison, e ancora i Pet Shop Boys, immortalati nel video del loro più grande successo, Go West, e quel geniaccio di David Bowie, che l’artista dipinge in tutte le versioni, da quella glam di Aladdin Sane a quella berlinese di Low. I miti del rock e dello spettacolo (Marilyn Monroe e Ava Gardner), ma anche quelli dei cartoni animati, Andy riscopre i personaggi che hanno segnato la sua infanzia: quelli made in Japan, come Capitain Harlock, Goldrake, Lamù, Pollon, Lupin, Pac man e quelli francesi come Asterix e i Barbapapà. E li inserisce sulla tela a fianco di donne bellissime e un po’ retro, o  a top model come Kate Moss e Linda Evangelista. E poi, tra un tributo alla femminilità giapponese (con le sue sensualissime geishe) e uno ai Vip, come Lady D e Condolezza Rice, Andy ci butta dentro il suo misticismo, fatto di Gesù psichedelici e Madonne pop. Come una sorta di diario in cui annotare appunti, l’artista riesce a collassare molteplici situazioni e personaggi. I colori sono sempre quelli acidi, fluorescenti, da pugno in un occhio, le campiture sono attente e precise, con un segno netto, marcato, gelido, riflessivo, che non lascia margine alla sbavatura. Eppure, c’è qualcosa di più. Forse i colori sono quelli del luna park, forse l’aspetto è simile a certi giochi e a certe decorazioni, ma il senso profondo della ricerca scava con estrema serietà nella confusione dei miti e dei valori di oggi, nella difficoltà di leggere e soppesare il passato, nelle incongruenze e contraddizioni del sapere contemporaneo. Coloratissima, citazionista e paradossale, la ricerca di Andy è solo falsamente infantile, falsamente glamour, falsamente divertita. È un enorme rebus, una costruzione difficilissima da decifrare. È come una bellissima donna che indossa un vestito appariscente e che, sotto il vestito, nasconde molto, molto di più. Spiazzante e originale, la sua arte è un gioco sottilissimo di rimandi, sovrapposizioni, tradimenti tra ciò che appare in tutta evidenza e ciò che rimane dietro alle quinte. Andy fa respirare la pittura, le dona una boccata di ossigeno perché la libera dalla schiavitù della logica, dell’obbiettivo a tutti i costi. Vissuta come immersione nell’assurdo, come apnea nelle proprie passioni e nei ricordi, l’arte non interpreta più la realtà, non si limita a darne una spiegazione: piuttosto la rivive, la trasforma, la mastica.